Categorie
Dal Mondo

Elezioni in Marocco: le prospettive dopo il voto di domani


Giornata di votazioni domani in Marocco. L’8 settembre i cittadini si pronunceranno per il rinnovo del parlamento, dei consigli regionali e di quelli comunali.

Si tratta delle terze elezioni legislative della storia del Marocco dopo la riforma riforma costituzionale introdotta nel 2011, una delle eredità della Primavera araba. Sull’onda di proteste che ha toccato tutti i Paesi del Maghreb, anche il Marocco ha avviato una profonda revisione del proprio sistema di governo, che ha portato a un relativo riequilibrio dei poteri, in particolare riducendo le prerogative del re, Mohammed VI. Dal 2011 la costituzione marocchina prevede in particolare che il capo del governo sia nominato all’interno del partito che ha vinto le elezioni legislative.

L’8 settembre quindi quasi 18 milioni di elettori saranno chiamati a nominare i 395 parlamentari che li rappresenteranno nell’Assemblea nazionale. Alle urne, il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Pjd) e il Partito per l’autenticità e la modernità (Pam) dovrebbero essere i principali partiti politici a competere per ottenere la maggioranza alla Camera dei rappresentanti. Eppure, alla luce del calo dei consensi che stanno registrano gli islamici del Pjd non è escluso che una sorpresa possa arrivare dal partito liberale dell’Rni del ministro e uomo d’affari Aziz Akhannouch o dallo storico partito di Istiqlal.

Il governo scelto dagli elettori marocchini domani sarà chiamato a gestire importanti investimenti pubblici. Sulla carta il Marocco ha tutte le carte in regola per scalare la vetta dei paesi emergenti. Tangeri, che ha affascinato generazioni di scrittori, è la vetrina e il simbolo delle trasformazioni economiche del Paese. La creazione di una zona franca e di un gigantesco porto sul Mediterraneo (Tanger Med), di autostrade, dell’alta velocità ferroviaria (unico nel continente africano ad avere una rete di linee ad alta velocità) in poco più di un decennio, l’ha trasformata in un importante polo logistico e industriale tra l’Europa e l’Africa.

L’arrivo della Renault ha permesso anche al settore automobilistico di decollare. Quella di Peugeot-Citroën, con sede a Kenitra, una cinquantina di chilometri a nord della capitale, Rabat, ha confermato l’attrattività del Regno con 700.000 veicoli che lasciano gli impianti di assemblaggio ogni anno. L’aeronautica non è esclusa: embrionale all’inizio del millennio, il settore contribuisce con oltre 1,5 miliardi di euro alle esportazioni marocchine, quelle verso la Francia in costante aumento.

Al di là di questi elementi, le elezioni dell’8 settembre, per il quale sono stati schierati quasi 4.500 osservatori nazionali e stranieri, mostra un Marocco offensivo a livello diplomatico, industriale ed economico. Inoltre il Paese è tra i primi in Africa per vaccinazione contro il Covid-19 con il 60 per cento della popolazione vaccinata con almeno la prima dose.

Infine si registra in questa tornata elettorale una maggiore partecipazione femminile. La questione del posto dato alle donne in politica è stata presa di petto dalla Costituzione del 2011. Un passo avanti derivante da un processo di riforma iniziato nei primi anni 2000 e che ha riguardato in particolare il Codice della famiglia e il posto delle donne nella società nel 2004. Nel 2011 la riforma della Costituzione ha elevato, tra l’altro, l’uguaglianza di genere a principio costituzionale, consolidando così i risultati della riforma del 2004. Tutto questo si è tradotto con l’introduzione delle quote rosa ed un aumento dei seggi destinati alle donne dal parlamento ai consigli comunali.

Categorie
Dall'Italia

Meloni sotto attacco ma Galli della Loggia non ne azzecca una

L’analisi dell’europarlamentare Vincenzo Sofo

Il fatto che Fratelli d’Italia sia diventato il primo partito d’Italia in termini di consenso popolare pare abbia mandato nel panico l’establishment della penisola. Altrimenti non si spiega il grossolano attacco lanciato dalla colonne del Corriere della Sera da un intellettuale come Ernesto Galli della Loggia, incappato – forse preso dalla foga di dover improvvisare un “j’accuse” a priori alla leader di FDI – in una serie di grossolane gaffe.

Così l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Vincenzo Sofo, introduce per Affaritaliani.it la vicenda che vede contrapposti Ernesto Galli della Loggia e Giorgia Meloni

La tesi di Galli della Loggia è quella banalità trita e ritrita relativa al fatto che se vuole andare al governo la destra deve prima rendersi presentabile, depurandosi delle sue idee e cambiando classe dirigente. Insomma, deve smettere di essere destra e – meglio ancora – diventare sinistra. Poichè, ovviamente, è la sinistra ad avere l’unica classe dirigente autorizzata a governare il nostro Paese. E poco importa se sia la stessa classe dirigente che ci sta mandando in rovina.

Galli Della Loggia articola dunque le sue argomentazioni su tre “insegnamenti” che la Meloni dovrebbe apprendere. Peccato che tutte e tre le sue lectio magistralis siano imperniate su contenuti piuttosto scadenti, talvolta addirittura falsi.

Il primo insegnamento riguarda il collocamento internazionale. L’accusa mossa alla Meloni è di avere alleanze con i governi di Russia, Ungheria e Polonia (definiti regimi) definite politicamente inutili e compromettenti, basate solo sulla condivisione delle battaglie anti lgbt, anti immigrazione e pro vita. Quando invece dovrebbe creare alleanze con Spagna e Inghilterra. Se Galli Della Loggia avesse seguito con attenzione le dinamiche europee avrebbe tuttavia scoperto che le tre battaglie sopra citate rappresentino degli temi cardine dell’agenda della Commissione europea, che i primi a coltivare i rapporti con la Russia si chiamano Merkel e Macron, che Ungheria e Polonia – oltre a rappresentare il sottogruppo (Visegrad) probabilmente più influente della UE – sono considerati degli interlocutori importantissimi da parte rispettivamente di Germania e USA e che il partito dei Conservatori europei del quale la Meloni è leader ha solide relazioni sia in Inghilterra con i conservatori attualmente al governo sia in Spagna con uno dei partiti più importanti che si chiama Vox.

Il secondo insegnamento riguarda il modo di fare opposizione. L’editorialista prende ad esempio i risultati del Rassemblement National nelle recenti elezioni regionali in Francia per dimostrare che fare la destra di opposizione, i “populisti” secondo lui, non paghi. Peccato che fa riferimento a un risultato elettorale che chiunque conosca minimamente la politica francese considerava scontato poichè figlio di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno costruito apposta – a proposito di regimi – per impedire alle forze politiche sgradite di salire al governo. E ciò è accaduto, a proposito di pentimenti da compiere, nonostante il Rassemblement National abbia avviato un percorso di progressiva de-destrizzazione.

Il terzo insegnamento infine è quello più grottesco. Galli della Loggia tira fuori la classica carta della disperazione usata dalla sinistra: “la delegittimazione che promana dal loro passato”. Per provare a trascinare la Meloni nel calderone della Seconda Guerra Mondiale, la collega in modo rocambolesco a Marine Le Pen la quale a suo dire ha il torto di simpatizzare per il maresciallo Petain invece che per De Gaulle. Dimostrando per la terza volta scarsa conoscenza dei temi che utilizza per argomentare. Infatti Marine Le Pen, come ha giustamente ricordato la stessa Meloni nella sua lettera odierna di risposta, non si è mai definita petainista ma anzi gollista. E peraltro nell’ambito di una divisione che non riguarda il conflitto mondiale bensì la Guerra d’Algeria. Chi invece ha elogiato Petain nell’ambito delle guerre, ditelo a Galli della Loggia, invece è il suo amato Macron.

Ad “arrampicarsi sugli specchi manipolando o nascondendo la realtà” pare proprio che sia stato dunque Galli della Loggia. Che, probabilmente andato ancor più nel panico essendosi accorto della pochezza contenutistica del suo attacco, è scaduto ancora più in basso: invitando provocatoriamente la Meloni, come prova del suo essere presentabile, a far picchiare i sostenitori di Forza Nuova o Casa Pound.

A voi le conclusioni.

Categorie
Approfondimenti Dal Mondo

L’Economic Forum di San Pietroburgo: una potenziale alternativa a Davos

Hanno preso il via oggi, 2 giugno, i lavori del St. Petersburg International Economic Forum (SPIEF). Prenderanno parte alla convention oltre 5.000 persone, che, considerando il contesto pandemico in cui si celebra, si presenta come uno dei più grandi eventi internazionali degli ultimi anni, soprattutto se lo si confronta con il World Economic Forum di Davos che quest’anno si è tenuto in formato online, mentre la riunione speciale del WEF, prevista dal 17 al 20 agosto a Singapore, è stata annullata lo scorso 17 maggio proprio a causa del Covid.

Il fatto che la Russia sia riuscita ad organizzare un simile evento offline, dimostra come questo paese sia riuscito a reagire al coronavirus più efficacemente rispetto ad altre potenze mondiali. Ma non si tratta dell’unico elemento che giustifica una messa a confronto tra SPIEF e WEF.

Il WEF è una piattaforma di ispirazione globalista molto apprezzata dai potenti di tutto il mondo che fanno a gara per parteciparvi. Lo stesso progetto “Great Reset” lanciato dal fondatore del WEF Klaus Schwab si presenta come l’agenda cui si uniformeranno le élite globaliste nei prossimi decenni. Lo SPIEF, invece, si configura come una realtà profondamente diversa: si tratta, infatti, di una piattaforma di dialogo promossa da uno Stato sovrano (la Federazione Russa) che non nasconde l’intenzione di agire a difesa dei propri interessi nazionali. Anche per questo, sin dalla prima edizione tenutasi nel 2014, l’Occidente ha tendenzialmente snobbato il Forum di San Pietroburgo.

Ciononostante esso ha catturato, da subito, l’interesse di quelle realtà imprenditoriali non condizionate da cliché ideologici e che vedono nella Russia una realtà significativa nel contesto globale e un partner redditizio. Il paese occupa una posizione chiave nello spazio eurasiatico ed attira, inevitabilmente, l’attenzione di tanti uomini d’affari non solo europei ed asiatici, ma anche americani, o almeno di coloro che non subiscono il fascino dei giochi dei politici volti a intraprendere una nuova stagione di Guerra Fredda.

Non a caso la maggior parte dei partecipanti proviene, come sempre, proprio dagli Stati Uniti. La delegazione del Qatar, uno dei paesi più ricchi del Golfo Persico, è composta da ben duecento persone; tra gli ospiti provenienti da tutto il mondo, molti arrivano da Cina, Germania, Regno Unito, Francia e Italia. Venerdì è previsto l’intervento del presidente russo Vladimir Putin.

Il titolo dell’edizione di quest’anno recita: “Di nuovo insieme. L’economia della nuova realtà”. Si discuterà, ovviamente, dell’impatto della crisi pandemica sulla situazione mondiale. I vari tavoli di discussione e le sessioni di dibattito si focalizzeranno, però, su altre questioni più interessanti. L’influenza dei teorici del “Great Reset” è in ogni caso evidente: le tematiche ambientali e lo sviluppo di politiche volte alla riduzione delle emissioni di carbonio per fronteggiare il surriscaldamento del clima saranno all’ordine del giorno. Ci saranno, però, ben tre focus dedicati al principio di sovranità, in cui verranno approfondite le seguenti questioni: “Sovranità storica e sviluppo economico”, Difesa dello spazio digitale unico vs. lotta per la sovranità digitale”, “Sovranità digitale e Cybersecurity”.

Discutere su tematiche del genere al World Economic Forum sarebbe semplicemente impossibile e questo significa che il Forum russo si propone come una reale alternativa al paradigma elaborato dalle élites globaliste. Sarebbe auspicabile che non solo in Russia, ma anche in Europa il tema della sovranità potesse essere messo in relazione alle prospettive di rilancio economico.

Dunque lo SPIEF si pone come modello non solo alternativo, ma anche replicabile altrove ed è significativo che il presidente del World Economic Forum in persona, Borge Brende, abbia confermato la propria presenza a San Pietroburgo: vuol dire che i teorici del globalismo prendono questa piattaforma molto sul serio.

Categorie
Dal Mondo News

Hajib e le menzogne di al Qaeda

Il terrorista Mohamed Hajib Abu Omar, originario della città di Tiflet in Marocco, può competere con i noti truffatori Victor Lusting e Gregor MacGregor, avendo trovato terreno fertile in Germania. Hajib, trasformatosi in un talentuoso attore politico, è l’ideatore di macchinazioni non meno complesse o sottili dei trucchi di MacGregor. Il mondo intero ricorderà che quest’uomo, legato ad al Qaeda, come l’unico truffatore della storia ad aver venduto un “pacchetto Miswak” (la radice di una pianta desercita usata da Maometto per pulirsi i denti) alla Repubblica Federale di Germania per più di un milione e mezzo di euro.

Qual è la storia dietro il Miswak più costoso del mondo? L’ex estremista Boushata Al-Sharif, imprigionato nella stessa ala della prigione di Hajib nel 2011, ha detto di aver usato piante di Miswak di colore scuro per provocare false tracce di violenza sul suo corpo in modo da denunciare di aver subito false torture fisiche.

Questo è il trucco che è stato usato per raggirare la Germania e i suoi servizi che hanno creduto a questa menzogna per ragioni geostrategiche, secondo i media internazionali. Questa vicenda è stata usata per una guerra di intelligence, ben sapendo che attraverso un investimento di pochi centesimi di euro, che corrisponde al prezzo del Miswak, che il qaedista ha beneficiato della promessa di ricevere una lauta ricompensa dallo stato tedesco.

Categorie
Approfondimenti

Bellingcat all’attacco dei sovranisti europei ed americani

In queste settimane Bellingcat ha pubblicato il suo rapporto annuale relativo al 2020.

Per chi ancora non la conoscesse, Bellingcat è una realtà molto particolare: ufficialmente è un sito di giornalismo investigativo che negli ultimi anni ha acquisito una crescente influenza. Fondata nel 2014 dal blogger inglese Eliot Higgins, ex impiegato di una società finanziaria britannica che negli anni immediatamente precedenti si era fatto conoscere come animatore del blog Brown Moses, grazie alle sue inchieste rivolte in particolare contro la Russia e la Siria si è fatta notare da un pubblico sempre più vasto di esperti e lettori. Oggi è un punto di riferimento autorevole, con un’organizzazione ben strutturata e decine di collaboratori.

Paradossalmente, però, l’articolo più letto dell’anno scorso, non era dedicato ad inchieste tese a smascherare oscure trame promosse dal Cremlino o da Damasco. Intitolato The Boogaloo Movement Is Not What You Think, esso aveva per oggetto i gruppi di destra americani, avversari del Partito Democratico e dei movimenti di estrema sinistra come Antifa e BLM (https://www.bellingcat.com/app/uploads/2021/05/Bellingcat-Annual-Report-2020-1.pdf).

Bellingcat è un’entità strettamente collegata alle agenzie e alle fondazioni attraverso cui si esercita l’attività delle strutture di intelligence americane e britanniche. Ad esempio essa riceve finanziamenti dalla Fondazione americana National Endowement for Democracy e dall’inglese Zinc Network, diretta emanazione del Ministero degli Esteri del Regno Unito (https://www.bellingcat.com/app/uploads/2021/05/Bellingcat-Annual-Accounts-2020-1.pdf).

Di fatto, Bellingcat appare come una piattaforma nell’ambito della quale si “incontrano” e collaborano il deep state dell’anglosfera e la galassia dell’estremismo di sinistra. I suoi esponenti principali – lo stesso Eliot Higgins e Jason Wilson – sostengono apertamente i gruppi radicali e, in pratica, ne fanno parte. Di contro collaborano con Bellingcat numerosi ex ufficiali dell’esercito e dell’intelligence degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (https://www.mintpressnews.com/bellingcat-intelligence-agencies-launders-talking-points-media/276603/)

In questa fase Bellingcat sta riposizionando i propri riflettori, puntando sempre più l’attenzione sulle organizzazioni sovraniste occidentali. Lo dimostra l’intensificazione dell’Anti-Equality Monitoring Project (https://www.bellingcat.com/resources/2021/05/12/an-update-from-bellingcats-anti-equality-monitoring-project/) e il numero crescente di pubblicazioni rivolte contro i sostenitori di Donald Trump.

In conclusione, una simile evoluzione dimostra come gli elementi dell’intelligence che si nascondono dietro il paravento rappresentato da Bellingcat intendano rivolgere la propria azione non più soltanto contro i nemici esterni dell’egemonia globalista occidentale, ma anche contro l’opposizione interna. In pratica, questa struttura verso cui affluiscono i soldi dei contribuenti americani ed europei ora prende a bersaglio gli stessi cittadini di quei paesi.

Franco Degli Esposti

Categorie
Dal Mondo News

Sahara: è allarme nei campi profughi di Tindouf

Un webinar fa chiarezza su quanto sta avvenendo nella regione

La presenza dei campi profughi sahrawi a Tindouf, nel sud dell’Algeria, rappresenta una minaccia per la stabilità della regione del Sahel e dell’Europa. E’ quanto è emerso da un seminario di studi tenuto da esperti della regione del Sahara tramite un webinar dal titolo: “L’Assurda controversia sul Sahara marocchino”, organizzata dal portale Valoreimpegnocivico.it.

Hanno preso parte al seminario di studi accademici, esperti legali e professionisti dei media i quali hanno ammonito che l’esistenza dei campi di Tindouf rappresenta non solo una minaccia per la stabilità della regione del Sahel e del Sahara, ma anche per l’Europa nel suo insieme.

I partecipanti a questo seminario, moderato ieri dall’esperto di affari legali Gabriele Mazzanti hanno confermato che l’esistenza dei campi di Tindouf e delle milizie armate del Polisario in collusione con le organizzazioni jihadiste costituisce una minaccia alla stabilità, osservando che il tasso di povertà, la negazione della libertà e dei diritti fondamentali e la disperazione prevalente tra i giovani che vivono in condizioni difficili nei campi di Tindouf, il che li rende facile preda del reclutamento da parte di gruppi terroristici che operano nella regione del Sahel.

In questo contesto, Federico Prizzi, professore al Pont Institute for Cultural and Anthropological Research, ha sottolineato, in un intervento dal titolo “Il Marocco in prima linea nella cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo”, che: “La sovrapposizione tra le attività di criminalità, le organizzazioni terroristiche e separatiste rappresentano gravi minacce che incidono direttamente sulla sicurezza della regione e dell’Europa nel suo insieme. Il Marocco è un partner essenziale per l’Italia, l’Europa e la Nato nella lotta al terrorismo; il Re Mohammed VI ha dato nuova linfa alla ristrutturazione dell’intelligence marocchina per far fronte all’ascesa del flagello terroristico. Per questo il Marocco è il primo Paese africano a partecipare alle operazioni di contrasto allo Stato Islamico. Va ricordato inoltre che la creazione della fondazione Ulema per contrastare il radicalismo è stata un’esperienza che ha dato i suoi frutti. Il radicalizzato Al Sahraoui, affiliato a Daesh nel 2017, si è radicalizzato in Mauritania presso la moschea Ibn Al Abass e ha lasciato il Polisario per intraprendere il jihad”.

Questo esperto italiano ha sottolineato che gli sforzi del Marocco nella lotta al terrorismo hanno permesso, in larga misura, di ridurre il rischio di atti terroristici, sottolineando che il Regno è un partner centrale nella cooperazione internazionale per combattere questo fenomeno e per contrastare potenziali minacce terroristiche in Europa e per rafforzare la sicurezza e la stabilità delle immediate vicinanze del continente e il raggiungimento dello sviluppo sostenibile in Africa.

Marco Bertolini, generale italiano ed ex comandante delle operazioni militari, ha rilevato in un intervento dal titolo “Un’analisi geostrategica del bacino del Mediterraneo” che la regione del Sahel è una regione instabile in cui dilagano molte attività illegali come la droga e il traffico di esseri umani.

Da parte sua, il professore universitario e giornalista italiano, Alessio Postiglione ha argomentato partendo dal suo libro, scritto con Massimiliano Boccolini, “Sahara, deserto di mafie e jihad”, notando come operi anche sullo scacchiere mediorientale il populismo: la ribellione delle masse inurbate contro l’establishment di movimenti indipendentisti tradizionalmente secolaristi, diventati autoreferenziali e spesso corrotti, ha portato le prime ad essere sedotte dalle sirene dello jihadismo. È il caso di Abu Waleed al Saharawi, che da ufficiale del Polisario è diventato una star del firmamento jihadista, passando per varie sigle terroriste ed approdare infine al Daesh. Le economie dei movimenti separatisti sono spesso intrecciate con quelle di mafie e jihad. Questa osmosi spiega perché alcuni movimenti, lungi dal rappresentare gli interessi di gruppi etnici, sono l’anticamera della corruzione e, comunque, permeabili allo jihadismo”.

Corrado Corradi, capo del comitato direttivo della scuola italiana “E. Mattei” di Casablanca, ha confermato che la storia conferma che il Sahara è sempre stato sotto la sovranità marocchina. In un intervento sul tema “Storia del Marocco e la questione del Sahara, secondo lo storico francese Bernard Logan”, ha menzionato che i legami tra il Marocco e le sue “regioni sahariane” risalgono all’era dello stato degli Almoravidi (XI secolo), evidenziando che numerosi studi di esperti internazionali confermano questo fatto. Citando l’esperto e storico francese Bernard Logan, autore del libro “History of Morocco from the Origins to Today”, Corradi ha spiegato che prima del periodo coloniale, il Sahara era economicamente, politicamente e religiosamente legato al Marocco, il cui splendore si estendeva dal Tangeri, Fez e Marrakech fino alle rive del Senegal e del Niger. Ha aggiunto che le richieste del Marocco, quindi, si basano su “legittimi diritti storici” confermati da eventi, documenti storici e accordi.

Da parte sua, il coordinatore nazionale della Rete delle associazioni comunitarie marocchine in Italia, Yassin Belkassem, ha affermato che l’Algeria è “l’unico Paese al mondo che ospita un gruppo armato che gestisce dei detenuti nei campi, isolati dal mondo, dove vengono commessi crimini come omicidio, rapimento e furto di aiuti umanitari internazionali e reclutamento militare di bambini dopo la loro formazione nelle caserme dell’esercito algerino. D’altra parte, Belkassem ha detto:

“Chiediamo all’Italia di aprire un consolato nel Sahara marocchino, come hanno fatto molti paesi amici del Regno del Marocco, e di seguire l’esempio degli Stati Uniti con il loro chiaro riconoscimento di il Sahara marocchino e appoggiare la proposta marocchina di risolvere la disputa inventata sull’integrità territoriale del Regno, sulla falsariga del versante italiano dell’Alto Adige”.

Categorie
Dall'Italia News

Italia-Marocco: Causin, seguire esempio USA

Il senatore Andrea Causin (Maie) ha auspicato che l’Italia segua l’esempio degli Stati Uniti che hanno aperto un proprio Consolato a Dakhla, nella regione del Sahara marocchino.

In un’intervista all’agenzia di stampa marocchina Map, il senatore ha sottolineato la rilevanza e la grande portata dell’iniziativa di autonomia presentata dal Marocco accolta da tutta la comunità internazionale come una soluzione seria e credibile per la controversia regionale intorno al Sahara.

Causin ha affermato che il modello di sviluppo delle Province del Sud, lanciato dal re Mohammed VI, e il boom che la regione sta vivendo in termini di infrastrutture e servizi sociali di base, rafforzano la preminenza del piano di autonomia, sotto la sovranità marocchina.

Causin, che è anche membro della Commissione Difesa del Senato italiano, ha indicato che la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità del Marocco sul suo Sahara è una scelta “chiara e realistica”.

Dopo aver ricordato la decisione di molti Paesi, inclusi gli Stati Uniti, di aprire Consolati generali a Laâyoune e Dakhla, il Senatore ha auspicato di vedere l’Italia seguire il loro esempio.

Categorie
Dall'Italia News

Sahara: sindaco di Liveri (Na), Ue riconosca la sovranità del Marocco

“Gli Stati Uniti hanno dato l’esempio, riconoscendo la sovranità del Marocco sulle sue province meridionali”. Così Raffaele Coppola, sindaco di Liveri (Napoli), ha invitato l’Unione Europea a seguire l’esempio dell’amministrazione statunitense che ha riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara. “Si tratta di un riconoscimento perfettamente legittimo per quanto riguarda la storia della regione ed una realtà condivisa dalla popolazione presente nella zona, come ho potuto constatare con i miei occhi quando sono stato nel Sahara – spiega in una dichiarazione alla stampa, a 7 anni dalla sua prima visita nella zona del Sahara marocchino – Saluto il gesto degli Stati Uniti e penso che dovrebbe fare altrettanto l’Unione Europea”.

Secondo Coppola: “Se l’UE riconoscesse la sovranità marocchina sulle province del Sahara farebbe capire che è finito il tempo delle divisioni, retaggio della guerra fredda, e che dobbiamo aprirci per affrontare insieme il 21° secolo. Almeno è questo il messaggio che nel 2014 ho deciso di dare io, facendo gemellare il mio Comune con quello di Dakhla, anticipando la decisione di altri Paesi, come gli stessi Stati Uniti, che ora hanno aperto un Consolato in quella zona.”

Il sindaco di Liveri ha colto l’occasione per assicurare che la sua amministrazione e quella di Dakhla hanno in programma di proseguire nella collaborazione bilaterale, sviluppando dei progetti comuni che vedono il coinvolgimento di imprenditori campani desiderosi di investire nel Sahara, spinti anche dalla presenza di infrastrutture tra le migliori del continente e all’arrivo di fondi di investimento statunitensi e di imprenditori francesi, cinesi e russi e nella zona.

In questo contesto Coppola ritiene incomprensibile che l’Italia debba restare fuori da queste opportunità. Infine, ha espresso il proprio sostegno a Rabat a seguito delle provocazioni del Polisario lungo il confine tra Marocco e Algeria.

Il 4 febbraio del 2014 il sindaco di Liveri ha sottoscritto l’accordo di gemellaggio con la città marocchina di Dakhla. La firma, avvenuta in Marocco alla presenza del Presidente del Consiglio comunale locale, Sloh Jummani, ha come obbiettivo quello di rafforzare la cooperazione e lo scambio di esperienze economiche, culturali e turistiche tra le due città.

Categorie
Dall'Italia News

Dal Veneto, all’Italia, all’Europa: pandemia e rilancio

La nuova puntata di Radio Kulturaeuropa

Si terrà oggi pomeriggio, giovedì 6 maggio, a partire dalle 18:30, una nuova puntata di Radio Kulturaeuropa. Titolo dell’episodio sarà “Dal Veneto, all’Italia, all’Europa: pandemia e rilancio”.
In merito alla trasmissione, gli animatori della web radio hanno dichiarato: “Il Veneto è stata una delle regioni più colpite da questo anno travagliato. In particolar modo nella prima fase si è infatti trovata al centro delle cronache che la hanno distinta come una delle zone maggiormente colpite dalla diffusione dell’epidemia. Le campagne mediatiche hanno insomma rappresentato un ulteriore colpo alla regione che, da motore trainante del Paese, si è improvvisamente ritrovata bloccata”. “Parleremo dunque – hanno aggiunto i promotori dell’emittente web – della voglia di ripartenza e delle prospettive all’orizzonte proprio con chi il Veneto lo vive da sempre ed è da diversi anni impegnato politicamente e professionalmente sul territorio. Ad aprire il dibattito della trasmissione sarà infatti Piero Puschiavo, fondatore e presidente della sigla Progetto Nazionale, associazione nata nel 2010 oggi presente in tutta l’area regionale. A seguire ci saranno poi gli interventi di vari responsabili della suddetta associazione. Avremo con noi Bruno Cesaro, imprenditore e responsabile per la città di Padova, Gabriele Tasso, sindaco di San Pietro Mussolino e dirigente per il Vicentino, e Massimo Piubello, coordinatore delle attività sulla città di Verona”.

La trasmissione potrà essere seguita in diretta a questo link e sarà possibile interagire con gli ospiti mediante messaggio di WhatsApp al numero 324 953 95 64. Le prossime attività della radio saranno pubblicizzate tramite l’account Facebook e quello Instagram.

Categorie
Uncategorized

Sahara: contro Ghali nuove denunce dai media spagnoli

I media spagnoli hanno pubblicato nuove denunce che riguardano il caso di Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario attualmente ricoverato in un ospedale iberico. L’ultima, come riporta il Nuovo Giornale Nazionale, è stata pubblicata dal giornale “La Razon” e riguarda Khadijatou Mahmoud la quale da undici anni, indiversi forum internazionali, denuncia le violenze subite. La donna afferma di averlo conosciuto quando era ambasciatore del gruppo in Algeria. La donna è nata nel luglio 1991 nei campi di Tindouf, in Algeria, e dal 1996 partecipa al programma “Vacanze in Pace”. È tornata nei campi per visitare la sua famiglia biologica, cogliendo l’occasione, di sfuggita, di lavorare come traduttrice per le ONG. Tutto è iniziato all’età di 18 anni e nonostante si fosse recata da un medico la madre le ha consigliato di non denunciare l’accaduto. Solo una volta tornata in Spagna, ha avuto il coraggio di denunciarlo nel 2013. Attualmente Khadijatou gode dello status di apolide, anche se vive con i suoi genitori adottivi spagnoli. Questa situazione, dichiara, ha rappresentato un ostacolo in tribunale, perché i fatti sono avvenuti all’estero e la pubblica accusa spagnola ha finito per respingere la sua denuncia nel 2018. Khadijatou spera che dopo il movimento #MeToo la sua futura denuncia venga accettata.