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Libyan Political Dialogue Forum: come evitare il una nuova escalation militare?

di G. L.

Il 9 novembre ha avuto inizio a Tunisi il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF), organizzato dalla Missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), guidata dal diplomatico americano Stephanie Williams. Obiettivo del Forum, in linea con tutti i precedenti summit internazionali sulla Libia degli ultimi anni, è porre fine alla guerra civile, ripristinare l’unità del paese e ricostituire la compagine statale. Il LPDF dovrebbe ancje portare alla composizione di un nuovo governo con un nuovo primo ministro, che andrebbe a sostituire il Governo di Accordo Nazionale (GNA) riconosciuto finora dall’ONU e insediato a Tripoli, con un mandato della durata di sei mesi finalizzato ad indire libere elezioni, determinando così finalmente un nuovo esecutivo dotato di piena legittimità democratica.

“Obiettivo del LPDF è generare un consenso diffuso su un quadro di governance unitario e stipulare un accordo che porti ad elezioni nel più breve tempo possibile in tutto il territorio nazionale”, recita il comunicato ufficiale dell’UNSMIL.

Purtroppo le prime notizie che giungono dal Forum fanno ipotizzare che questa iniziativa sia essenzialmente destinata al fallimento. Essa è infatti viziata da un errore di metodo e dall’approccio alla questione scelto dagli organizzatori. L’UNSMIL, infatti, sta cercando di imporre ai libici soluzioni preconfezionate, impedendo loro di essere effettivamente arbitri del proprio destino.

Il diktat americano

Va ricordato che sin dall’inizio il metodo utilizzato per selezionare i partecipanti al Forum ha sollevato molti dubbi tra gli analisti libici ed internazionali.

I partecipanti sono 75, tutti preventivamente approvati dall’UNSMIL, ovvero da Stephanie Williams. L’ex incaricato d’affari in Libia degli Stati Uniti ha potuto così tagliare a monte i nomi a lei sgraditi. Dei 75 partecipanti 13 sono stati indicati dalla Camera dei Rappresentanti (il Parlamento di Tobruk), vicina alle posizioni del generale Khalifa Haftar, 13 dall’Alto Consiglio di Stato (il GNA), mentre gli altri 49 sono stati scelti direttamente dalla stessa Stephanie Williams tra personalità della cosiddetta società civile, inclusi blogger e giornalisti, spesso senza un reale grado di rappresentatività della società libica. Costoro, tuttavia, garantiscono all’UNSMIL, o meglio alla Williams e quindi agli USA (visti anche i ruoli precedentemente ricoperti da costei su mandato diretto dell’amministrazione americana), un pacchetto di voti sufficiente a determinare qualsiasi decisione il Forum intenderà assumere.

Ma non è tutto. L’UNSMIL ha avocato a sé la possibilità di impedire l’elezione di qualunque personaggio non abbia il suo gradimento, stabilendo che gli eletti debbano, in ogni caso, soddisfare una serie di criteri, alcuni dei quali piuttosto bizzarri, come dimostrare di essere dotati di equilibrio psicologico o possedere le giuste competenze (a insindacabile giudizio dei funzionari della Missione ONU). Inoltre, qualora il processo di elezione del primo ministro e dei membri del consiglio presidenziale venisse a trovarsi in una situazione di empasse e nessun candidato raggiungesse la maggioranza qualificata dei voti (57 su 75 delegati, ovvero il 75%), sarà stesso UNSMIL a decidere a chi affidare l’incarico.

Le critiche alle interferenze straniere

Ieri 112 deputati della Camera dei Rappresentanti hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui hanno contestato il meccanismo di selezione dei partecipanti al Forum. In particolare, i parlamentari hanno manifestato una forte preoccupazione per la partecipazione di soggetti totalmente scollegati dal popolo libico e dalle forze politiche del attive nel paese, nominati esclusivamente per “diluire” il peso delle delegazioni del Parlamento di Tobruk e del GNA.

Essi hanno, inoltre sottolineato come l’UNSMIL non dovrebbe sconfinare rispetto al suo mandato, alterando il dettato della Costituzione provvisoria o usurpando le prerogative della Camera dei Rappresentanti.

Il 9 novembre, l’avvocato tunisino Wafa Al-Hazami El-Shazly, da parte sua, ha affermato che “l’intelligence straniera controlla e guida il negoziato con esplicita brutalità”.

Nel Forum è già scontro

Nel contesto venutosi a creare, è già scontro tra i partecipanti al Libyan Political Dialogue Forum su chi dovrà assumere le posizioni chiave nel nuovo governo libico.

Secondo quanto riportato da Libya24 sono già decine i nomi presenti nella lista dei candidati alla carica di Presidente del Consiglio presidenziale. Tra essi figurano il presidente della Camera dei rappresentanti (Tobruk), Aghila Saleh, e il ministro dell’Interno del GNA, Fathi Bashagha.

Non solo. I media libici riferiscono che sia l’attuale leader del GNA Fayez al-Sarraj, sia il suo vice Ahmed Maiteeq potrebbero continuare a ricoprire incarichi importanti.

Molti politici locali, però, ritengono che la conflittualità in seno al Forum sia tale che ancora non esista un elenco definitivo di candidati alle cariche di membri del governo e del Consiglio presidenziale.

Per come è composto, il LPDF non riuscirà a raggiungere alcun compromesso, consentendo così a Stephanie Williams di decidere la composizione del nuovo governo che sarà “riconosciuto dall’ONU”: secondo indiscrezioni, i nomi del leader del Consiglio presidenziale e del primo ministro potrebbero essere resi noti nel giro di una decina di giorni.

Quale legittimità?

Il metodo scelto dalle Nazioni Unite per i negoziati solleva forti dubbi sulla possibilità che le decisioni che verranno prese e gli uomini che verranno designati per occupare i principali incarichi della futura compagine governativa vengano effettivamente riconosciuti come decisori legittimi dalle forze politiche attive nel paese, che le percepiranno come il frutto di ingerenze straniere.

Un altro grave rischio è rappresentato dalla possibilità che esponenti delle fazioni più radicali del mondo islamico possano occupare posizioni apicali. Il Consiglio supremo degli sceicchi e dei notabili della Libia ha già espresso preoccupazione in questo senso, per i collegamenti esistenti tra ben 45 partecipanti al Forum e i Fratelli Musulmani.

Un personaggio organico alla “Fratellanza” come Khaled al-Mishri, ad esempio, non sarebbe mai accettato dalle fazioni della Libia Orientale quale capo dell’Alto Consiglio di Stato, nuovo capo del governo o membro del Consiglio presidenziale.

Ancora più pericoloso viene considerato Fathi Bashagha, l’attuale ministro dell’Interno del GNA, accusato di torture e crimini di guerra e di avere strettissimi legami sia con i Fratelli Musulmani sia con i salafiti radicali. Il gruppo RADA, una milizia molto potente che sta cercando di imporre la Sharia a Tripoli, gestisce un centro di detenzione illegale presso l’aeroporto di Mitiga ed è coinvolta nel traffico di esseri umani, mantiene intensi rapporti con il ministro, il quale peraltro, secondo i suoi oppositori, già ora tende a comportarsi più da primo ministro che da ministro dell’Interno

Recentemente la Tripoli Protection Force – un gruppo di milizie della capitale vicine al Consiglio presidenziale della Libia e a Fayez al-Sarraj ha accusato Fathi Bashaga “di operare come se fosse il capo del governo o il ministro degli affari esteri. Egli si sposta di paese in paese, utilizzando la sua posizione ufficiale per ottenere un nuovo incarico”.

Bashaga, peraltro, non nasconde le sue ambizioni. Gode di un buon rapporto di amicizia con Stephanie Williams e si è detto favorevole all’installazione di una base americana in Libia, per ingraziarsi il sostegno degli Stati Uniti.

Seppure Khalifa Haftar non decidesse di rompere unilateralmente il cessate il fuoco e non lanciasse un’altra offensiva contro Tripoli in seguito ad una eventuale ascesa di Bashagha alla guida del governo di transizione, è probabile che questo determinerebbe un conflitto nella stessa Libia occidentale.

Attualmente la situazione a Tripoli è particolarmente tesa e verrebbe esasperata da una nomina di Bashagha a primo ministro. Probabilmente assisteremmo a un nuovo scontro, questa volta tra milizie vicine all’attuale ministro dell’Interno e altri gruppi fuori dal suo controllo, come la Tripoli Protection Force.

Già in questi giorni varie bande armate tripoline hanno manifestato insoddisfazione verso il Libyan Political Dialogue Forum.

L’unica via

L’unica via per preservare la possibilità di un dialogo reale tra le parti e perseguire la pacificazione del paese sta nell’abbandonare l’atteggiamento assertivo dell’UNSMIL, i diktat e l’imposizione di un candidato filoamericano (che con ogni probabilità sarebbe proprio Fathi Bashagha, inviso sia al LNA sia a varie milizie tripoline).

Tanto i libici, quanto le potenze straniere con forti interessi nel paese, in primis l’Italia, hanno tutto l’interesse a che si abbandoni il percorso appena intrapreso e a lavorare a un accordo che garantisca effettivamente una Libia stabile.

Tutto questo, fino a quando non potranno tenersi libere elezioni democratiche, può essere ottenuto soltanto con un compromesso tra le reali forze in campo e i soggetti più rappresentativi della società libica, che potrebbero invece accettare un governo di transizione finalizzato all’organizzazione delle votazioni, comprensivo di tutte le fazioni politiche in gioco, guidato dallo stesso Fayez al-Sarraj o dal suo attuale vice Ahmed Maiteeq, che gode di un generale rispetto ed è su posizioni laiche e dialoganti.

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