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Conflitto in Sahara: per l’Onu l’Algeria è parte del problema

L’Algeria è parte del conflitto in corso per la regione del Sahara essendo il principale sponsor del Polisario. E’ quanto stabilito dalla risoluzione 2548 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha riaffermato la “consacrazione del processo delle tavole rotonde” e ha incoraggiato “la ripresa delle consultazioni tra il prossimo Inviato personale” del segretario generale Onu e le parti interessate e principali a questa disputa regionale, vale a dire il Marocco, l’Algeria, la Mauritania e il gruppo Polisario. In questo modo viene smentito quanto affermato dai rappresentanti di Algeri tramite interviste alla stampa. Questa l’analisi tacciata da The business globalist della situazione nella regione del Sahara.

Secondo i giornalisti del quotidiano online, i circa 65 militanti del Polisario che per 20 giorni hanno bloccato il traffico presso il valico di Guerguerat, tra Marocco e Mauritania, sono partiti e sono rientrati dai campi profughi di Tinduf che si trovano in Algeria. A conferma del fatto che si tratta di militari mascherati da civili, questi militanti hanno per prima cosa visitato la scuola militare del Polisario che in questi giorni sta reclutati i giovani diseredati del Sahara per attaccare il Marocco, considerato a livello internazionale bastione di stabilità nella regione.

La crisi di Guerguerat è scoppiata per una violazione del diritti internazionale da parte di chi ha bloccato il traffico commerciale tra Marocco e Mauritania colpendo in particolare l’economia dei paesi dell’Africa occidentale, come Senegal e Mali oltre che di Nouakchott, i quali importano i cibi freschi come verdura e frutta quasi unicamente dal Marocco. Nei giorni precedenti all’intervento pacifico del Marocco infatti i commercianti mauritani hanno protestato per la mancanza di rifornimenti nei mercati. E’ di questo infatti che il re del Marocco, Mohammed VI, ha discusso ieri in un colloquio telefonico con il presidente mauritano Ould el Ghazouani, il quale ha chiesto di rafforzare la cooperazione economica tra le parti. Il Marocco inoltre ha ben risposto alla crisi da Covid-19 mantenendo basso il livello dei contagi e avviando una campagna di vaccinazione avendo già acquistato le dosi di un vaccino prodotto da una società cinese.

Diversa è la situazione in Algeria dove non sono resi noti i dati ufficiali dei contagi e dove non è stato ancora approntato un piano di vaccinazione. E’ evidente che il crollo del prezzo del petrolio, il boom del fenomeno dei migranti clandestini che sbarcano sulle coste italiane e spagnole e le proteste del movimento Hirak, oltre il cattivo stato di salute del presidente algerino, Abdel Majid Tebboune, hanno contribuito ad una crisi dell’economia senza precedenti. Nel Sahara marocchino invece proseguono senza sosta gli investimenti economici al punto che sono 19 i consolati dei paesi arabi e africani ad aver aperto a Dakhla e Laayoune in vista dell’arrivo di nuovi investitori e progetti finanziari così come la Giordania ha annunciato l’arrivo dei suoi diplomatici dopo quelli degli Emirati Arabi Uniti. Il timore inoltre è che l’Algeria, in virtù della sua crisi economica, possa scegliere il conflitto armato nella regione. Non a caso la scorsa settimana ha testato un missile balistico di fabbricazione russa lanciando segnali che destabilizzano la regione.

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Libia: proseguono le consultazioni tra GNA e Tobruk per il petrolio

Sul tavolo il riparto dei ricavi provenienti dalla vendita del petrolio

Secondo quanto riportato questa mattina dalla testata panaraba Al-Araby Al-Jadeed, che cita fonti vicine all’Esercito nazionale libico (LNA), proseguono positivamente le consultazioni tra i rappresentanti del Governo di Accordo Nazionale (GNA) della Libia e quelli del Parlamento di Tobruk volte a definire un bilancio nazionale unico relativo alle risorse derivanti dalla vendita di petrolio.

Era dal 2015 che le parti in conflitto non avviavano trattative su questo tema. L’obiettivo è definire un’equa ripartizione dei fondi, dopo lo sblocco della produzione e della commercializzazione del greggio libico. Tutte le parti in causa stanno predisponendo un bilancio delle spese previste per l’anno venturo, in attesa di definire con precisione come saranno ripartite le entrate. In una dichiarazione rilasciata alla stessa testata, il direttore dell’Oia Center for Economic Studies, Ahmed Aboulsen, ha spiegato che, in base alle leggi libiche, il 60% delle entrate petrolifere va destinato allo sviluppo del paese nel suo complesso, mentre il resto va ripartito tra le tre regioni che lo compongono (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). I proventi derivati dalla vendita del petrolio rimarranno congelati fino a quando le parti non avranno raggiunto un accordo.

Gli osservatori economici ritengono che la ripresa della produzione petrolifera e gli sforzi volti ad unificare l’autorità monetaria e la spesa pubblica, rappresentino un passo nella giusta direzione, sia per rilanciare l’economia libica, sia per dare il via a un concreto processo di pacificazione nazionale. Il negoziato in corso è il frutto dell’intesa raggiunta dal vicepresidente del GNA Ahmed Maiteeq e il generale Khalifa Haftar che ha reso possibile il 18 settembre scorso la ripresa della produzione di petrolio dopo sette mesi di blocco.

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Cinema: a settembre il seguito di Shugaley

Mentre l’Europa e gran parte del mondo erano alle prese con il lockdown, i processi geopolitici già in atto hanno continuato a dispiegarsi senza rallentamenti, così come i tentativi di analizzarli e studiarli, anche attraverso documentari e persino prodotti cinematografici.

Ciò è particolarmente vero per quanto concerne la situazione della Libia, dei paesi vicini e del Mediterraneo in generale, dove gli eventi si sono susseguiti ad un ritmo sempre più intenso.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha più volte confermato il massiccio afflusso di ex combattenti jihadisti veterani del conflitto siriano in Libia: sarebbero circa 16.500, trasferiti dalla Turchia nel paese nordafricano per sostenere le truppe del Governo di Accordo Nazionale (GNA).

Contestualmente l’AFRICOM, il Comando militare statunitense in Africa, ha annunciato che le sue Security Force Assistance Brigades, specializzate nell’addestramento e nell’assistenza delle forze militari straniere alleate, sono pronte a sostenere la Tunisia al fine di garantirne la sicurezza, “alla luce delle attivitàrusse in Libia”. Tutto questo mentre prosegue l’offensiva del GNA, che dopo aver liberato Tripoli dall’assedio a cui l’avevano sottoposta le truppe del generale KhalifaHaftar ha proseguito la sua avanzata fino alle città di Sirte e al-Jufra.

Proprio al centro di questa esplosiva miscela di avvenimenti, si trovano attualmente due sociologi russi, illegalmente detenuti dal GNA. Lo scorso maggio la televisione russa ha mandato in onda “Shugaley”, un film dedicato a questa vicenda. La stessa Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, in quei giorni sottolineò l’importanza di questo caso e l’attivo impegno del governo nel cercare di risolverlo. Cosa che fino ad ora non è avvenuta.

L’11 agosto sono così apparse su internet il trailer e le locandine del film “Shugaley 2”, il seguito del lungometraggio che ha raccontato la terribile situazione di Maxim Shugaley e del suo traduttore dall’arabo Samer Sueifan.

Nel primo film, diretto da Denis Neimand, la trama ripercorreva le vicende dei due sociologi, giunti a Tripoli per condurre un’indagine demoscopica, con l’assenso delle autorità locali, sequestrati, poco tempo dopo, dai miliziani di un gruppo salafita e tradotti nella famigerata prigione di Mitiga.

Il sequel è invece diretto da Maxim Brius e la “prima” è prevista per settembre.

Il trailer del film

La sceneggiatura racconta come i due scienziati stiano cercando di sopravvivere nelle disumane condizioni in cui sono tenuti prigionieri e l’intenso lavorio diplomatico che si sta sviluppando per farli tornare a casa.

E’ noto che i detenuti della prigione non ufficiale di Mitiga vengono regolarmente sottoposti a tortura e ad abusi psicologici. I due cittadini russi vi sono detenuti illegalmente e contro di loro non è ancora stata presentata alcuna accusa ufficiale: la loro detenzione viola il diritto internazionale.

Gli autori dei film hanno dichiarato in modo esplicito che le due opere sono state realizzate per denunciare le condizioni in cui versa la Libia e il diffondersi di pratiche brutali e illegali con l’avallo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale.

Le ultime notizie provenienti dal paese confermano la grave instabilità in cui esso versa e le tensioni crescenti, che rappresentano una grave minaccia anche per i paesi europei. Oramai il conflitto tra l’Esercito Nazionale Libico (LNA) guidato da Haftar e il GNA presieduto da Fayez al Sarraj è tracimato, coinvolgendo attivamente vari Stati stranieri, a cominciare da Turchia ed Egitto.

Ankara è ormai apertamente coinvolta nel conflitto in Libia, dove ha inviato circa 25.000 mercenari provenienti da Siria, Tunisia e altri paesi, molti dei quali islamisti radicali ed ex combattenti dell’ISIS.

Il Cairo, da parte sua, sostiene l’LNA e recentemente ha annunciato un possibile dispiegamento delle proprie forze armate: il parlamento egiziano lo ha infatti autorizzato nel caso in cui il Governo di Accordo Nazionale, con l’aiuto della Turchia, dovesse provare aconquistare la base aerea di al-Jufra e la città di Sirte.

D’altronde il governo turco ha più volte dichiarato di essere pronto a condurre direttamente un’operazione militare su queste due località, se non passeranno sotto il controllo di Tripoli. Un’ipotesi inaccettabile per l’Egitto. 

In sostanza, due tra le maggiori potenze militari del Mediterraneo potrebbero affrontarsi in una guerra a pochi chilometri dalle coste italiane. In un simile scenario sarebbe impossibile per Roma e per l’intera Unione Europea ignorare le conseguenze di un similescontro.

Ma un’altra minaccia evidente per l’Europa è rappresentata, in questo momento, dalla probabile esplosione di una nuova crisi migratoria. L’evolversi dello scontro militare potrebbe determinare una nuova ondata di profughi che le autorità del GNA non saranno né in grado di contenere, né disponibili a farlo. Un nuovo flusso incontrollato di migranti avrebbe effetti gravissimi sia dal punto di vista della gestione del contagio pandemico, sia per l’inevitabile arrivo di molti estremisti islamici in Europa. A tal proposito, occorre ricordare che Recep Tayyip Erdogan ha ribadito il suo sostegno ai Fratelli Musulmani, un’organizzazione classificata come estremista e terroristica in molti paesi arabi, ma che il leader turco considera funzionale alla sua strategia di espansione geopolitica in chiave neo-ottomana.

Per ulteriori dettagli, visitare il sito ufficiale di Shugaley2

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Libia: ex prigioniero di Mitiga denuncia torture

Un ex detenuto della prigione libica di Mitiga, nei pressi di Tripoli, ha denunciato, tramite un video-appello rivolto alla Corte Africana dei diritti umani e dei popoli, di essere stato sottoposto a torture e sistematici abusi. E’ quanto si apprende dall’account twitter ufficiale del LNA, l’Esercito di Liberazione Nazionale guidato dal generale Haftar, che ha rilanciato il video. Rajab Rahil Abdul-Fadhil Al-Megrahi, questo il nome dell’uomo, ha spiegato nel video di essere stato tenuto prigioniero nell’estate del 2019 a Mitiga, un centro di detenzione sotto il controllo della milizia Rada, un gruppo armato alleato con il Governo di Accordo Nazionale e vicina al ministro degli Interni Fathi Bashagha. Oltre a ricordare le ripetute violenze subite, l’uomo ha affermato di essere stato torturato personalmente dal ministro Fathi Bashagha nel corso di una visita da questi effettuata nella prigione di Mitiga e di aver subito dal lui l’amputazione dell’occhio sinistro. Nella denuncia presentata lo scorso 31 maggio, Al-Megrahi ha chiesto alla Corte di aprire un’indagine per appurare le responsabilità e punire gli autori dei crimini.